Nereo: esordio “Senza voce”
Un titolo che può trarre in inganno. E senza voce non lo è affatto visto che il bel canto, intonato e sicuro, torna protagonista nel bellissimo pop d’autore di Nereo, pugliese, ormai maturo di ascolti e di vita tanto da concepire un disco come “Danze cosmiche” di prossima pubblicazione che ci anticipa con questo singolo dal titolo “Senza voce”. Perché l’amore non deve per forza raccontarsi con sfacciate dimostrazioni di scena… e spesso dietro l’incanto e la fantasia si trovano ombre e tossicità. Tutto questo in un brano che scivola con eleganza e nostalgia per chi ha vissuto l’era dei ’90 con attenta partecipazione all’eterno sentimento dentro i più grandi contenitori pop che ancora oggi segnano un passaggio di generazioni e di mode. Nereo, dentro tutto questo, sa starci benissimo…
Primo singolo, esordio assoluto… oppure nel tuo recente passato esiste qualcosa degno di passare alla cronache?
Il mio esordio, in realtà, risale al 2006. Scrissi e cantai un pezzo che fu apprezzato dalla giuria di un concorso nazionale, per la musica, ma soprattutto per il testo. Lo si potrà ascoltare a breve. Purtroppo, 14 anni fa le possibilità di farsi strada erano ridottissime, non avevamo la fortuna delle piattaforme di distribuzione di oggi.
Cosa ti spinge oggi a pubblicare un brano… oggi che siamo in un momento così lontano dall’arte e dalla cultura?
Il tempo e le occasioni, le opportunità, non sono mai state per me categorie vincolanti. La necessità, l’urgenza di comunicare è più forte di qualsiasi stato di cose.
Ho ritenuto di doverlo fare perché i doni, di qualunque natura, bramano condivisione. E perché credo che l’arte non debba restare inespressa.
E “Senza voce” in che modo – se lo fa – prende ispirazione da questo momento?
“Senza voce”, di sicuro, è il racconto del non-racconto, dell’incomunicabilità, evidentemente nella misura dell’amore non corrisposto. Qualcuno potrebbe sentire dei rimandi all’agonia delle relazioni moderne, sempre meno orientate all’empatia e filtrate dal virtuale, ma non è propriamente quello il liquido amniotico dentro cui si è sviluppato il pezzo. C’è tutta una storia di malattia e dipendenza dietro.
Inevitabile chiederti del disco: “DANZE cosmiche” parlerà ancora la voce del pop o ci lasci presagire trasgressioni e qualche tipo di sperimentazione?
La voce del pop è preponderante. Alcuni brani possono definirsi “di nicchia”, non propriamente commerciali, perché si muovono nell’acquario del jazz o del lirismo intimista. Sebbene la mia modernità mi stia scomoda (il concetto, tra l’altro, è transitorio, destinato alla morte), devo farci i conti. L’ipocrisia di quegli artisti con la puzza sotto il naso, che scrivono cose per se stessi e per pochi altri, non la sopporto. Bisogna abbracciare la mediazione tra ciò che l’artista ontologicamente é e ciò che il mercato richiede.
Oggi la musica diventa sempre più digitale. Cosa ne pensi? Strada spianata per tutti o un mare di possibilità e di sviluppo?
Come dico più su, oggi abbiamo la possibilità di farci ascoltare senza grossi sforzi, senza dover mostrare (in alcuni casi, ostentare) le cicatrici della gavetta che gli artisti prima di noi hanno dovuto affrontare. Sono assolutamente a favore, quindi, della rivoluzione del digitale se permette di spostare la bottega dell’arte dalla stanzetta alla fruizione generale.