Alessandro Bertozzi – Trait d’union recensione.
Introduciamo? Introduciamo.
Scrivendo questa recensione non ho potuto non pensare che Alessandro Bertozzi e il suo sax alto fanno compagnia da tempo al (purtroppo decrescente) mondo di appassionati di quel perimetro fortunatamente mai ben definito chiamato più o meno jazz-rock (dopo che le varie denominazioni sono via via diventate e passate di moda). Da artisti come lui a mio avviso è lecito e sensato aspettarsi sempre un nuovo progetto che potrà piacere o affascinare più o meno, ma che sarà comuque di qualità e con la dignità di chi lavora per far uscire qualcosa di sé che non possa finire nella paccottiglia di genere, anche se è generamente nei generi o tra i genere che ci si muove e non nei terreni della sperimentazione.
Credo sia questo l’approccio e lo spirito con cui godersi un nuovo progetto di cui si conosce l’autore, e penso che in questo senso anche Trait d’union sia un lavoro riuscito, compiuto.
Sì, ma in dettaglio?
Qui, per chi conosca già Bertozzi, si mantiene l’ossatura stilistica di quello stile per cui il nostro è già noto ma ci si incrocia con l’Africa, soprattutto per quanto riguarda linee melodiche e percussive, con qualche ulteriore accenno sul piano armonico.
Ne viene fuori un album movimentato, piacevolmente leggero nella sua scorrevolezza, cantabile e coerente, con un gusto particolarmente spiccato per il riff, per la caratterizzazione melodica attraverso il sax di una linea d’avvio, di un incipit marcato e netto che poi lascia spazio a una miscela di jazz e di quel famoso “easy listening” (non roba da ascensori nei grattacieli) che viaggia talvolta a contatto con un funky “guitarless” , altre volte con un maggiore desiderio di connotazione afro, ma anche con rimandi e suggestioni che ci portano alla prima fusion di fine anni ’70 e seguenti (così al volo, per trovarci su qualche riferimento con te che ci leggi, Herbie Hancock, Spyro Gyra, David Benoit, primi yellowjackets… Ma mettiamoci pure atmosfere che faranno piacere a chi abbia amato le migliori band di Pino Daniele).
L’angolo del rompiballe
Se vogliamo fare un po’ i fiscali, cosa che d’altra parte ci tocca essere se siamo qui a scrivervi di musiche, qualche azzardo armonico sarebbe stato gradito, perché tendenzialmente da questo punto di vista si viaggia su percorsi ben battuti, cosa che certamente rassicura e garantisce di portare a casa un risultato efficace, ma che avvicina in più occasioni il già sentito e quindi fa mancare un tot di stupore e curiosità. Se però quel che cercate non sono “discese ardite e risalite” sonore descritte in giri insoliti allora siete in un buon posto, confortevole e ben arredato.
Buon ascolto!