Nudist “Incomplete”, recensione
“Song about failures and Redemption”.
Una lieve ed inquieta introduzione, forse ingannevole, forse propedeutica alla setlist…e poi l’esplosione rabbiosa e oscura. Inizia così questo Incomplete, quinto album dei Nudist. Nati nel 2008 come noise instrumental power trio, nel corso di un abbondante decennio hanno modulato e diversificato il loro sound, appoggiando le proprie idee su stilemi vicini al post metal, al doom e allo sludge, sino a giungere all’oggi.
La band, edita da Dio Drone, dimostra sin dai primi passaggi idee chiare e impronte strutturali alquanto avvolgenti e definite, in grado di narrare un sound ricco di sfumature. Un’arte descrittiva posta tra stop and go, ricami estetici e nebbie depressive, in cui la vocalità di Lorenzo Picchi, a tratti mi ha riportato alla mente le sensazioni che provai la prima volta che ascoltai Leprosy, anche se in questo caso la polvere death del 1988 appare ridefinita da giochi rumoristici, che deformano un finale perturbato, forse ispirato alla chiusura di South of heaven.
Le modulazioni diversificate, inoltre, sembrano volerci condurre altrove. Un altrove estraniante, surreale e potenzialmente distopico. Infatti, vi basterà, sedervi sulle due sponde di River per rendervi conto di come sonorità “voivodiane” appaiono mescolante a dissonanze, spinte vocali e ambientazione tutt’altro che minimali, dominate da una bass line metodica e impeccabile.
L’album, governato da una magica triangolazione metal-noise- sludge, sembra voler accogliere una strutturazione contenutistica, che trova il suo perfetto impatto in Demolition, traccia probabilmente più immediata, in cui le sensazioni Dimension hatross, si incontrano a rallentamenti doom e variazioni crypto metal, figlie legittime e di un HM ormai lontano.
Il graffiato timbro della linea vocale “shuldineriana” porta poi i suoi estremi tra le note nereggianti di Crawl in me, ridondante e claustrofobica composizione che, mediante la sua natura inquieta e sofferente, ci porta ai confini di una Norvegia resa impura da stilismi noise. A chiudere il disco è infine l’ottima titletrack onirica ed ipnotica, composizione cadenzata e per certi versi lisergica, identificabile attraverso un accorto andamento catartico, in grado di dare un respiro finale ad un disco difficile solo per chi gioca con le banalità, ma piuttosto immediato per coloro i quali si ritrovano ad ascoltare le estremità della musica.
Post Scriptum
Ho dimenticato volutamente un’importante informazione: tra le note di questo convincente Incomplete si nascondono due tra i più grandi nomi della musica underground Eraldo Bernocchi e Xavier Iriondo… e questo potrebbe dire tutto.