Metallica – Death Magnetic. Recensione
“Signoretipregofaichesiaunbeltiscotipregotipregotiprego….”
Più o meno queste erano le parole/sensazioni che mi invasero i neuroni il giorno che appresi dell’uscita del nuovo disco dei Metallica. Insomma, si consideri la situazione del sottoscritto, che nel 1988 scoprì attraverso il loro disco meno accessibile (…And Justice For All) quattro musicisti tra i più influenti della storia del rock duro. Scusate l’imperdonabile semplificazione, ma se è vero che tutto il rock deriva dai Rolling Stones (come il pop dai Beatles), allora è vero che tutta la musica estrema, ma tutta tutta, dal black, al grindcore, al death, al nu-metal, ma anche il prog di matrice pesante, fino ad arrivare (Dio mi perdoni) alla sua parodia in Linkin Park, Tokyo Hotel, e boybands-coi-distorsori varie… dicevo tutta questa musica deve più di un grazie alla band Californiana. In termini non solo stilistici, ma anche di riconoscenza per la strada aperta. Insomma se anche Ramazzotti ha messo delle chitarre distorte nei suoi dischi, lo si deve anche ai Metallica.
Detto questo, fatte le dovute genuflessioni di fronte all’altare dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, si deve ammettere che dopo il Black Album hanno prodotto delle ciofeche…
Ma andiamo per ordine… tre settimane fa becco in chat Chif, fraterno amico Transilvano (magari vi interessa saperne di più…)
chifanb: minchia
puppet: minchia!!!
chifanb: >:P
chifanb: B-)
puppet: are you learning italian?
chifanb: no
chifanb: do u have the last metallica?
puppet: not yet, and you?
chifanb: it’s fantastic
chifanb: it’s like the old ones
chifanb: it’s the second youth :))
chifanb: like in a mans’ life, of course we don’t know how it’s like :))
chifanb: yet
puppet: really?
puppet: good! I was a very big fan of metallica! I still consider Master of Puppets and Justice two of the best rock records ever!!!
chifanb: i like ride the lightning
chifanb: of course they are master pieces
chifanb: you’ll see that THIS album is close to those
chifanb: listen it no more than 5 times
chifanb: and you’ll realize
Vabbè, provar non nuoce. Mi procuro il disco.
Dicevo che dopo il Black Album i Metallica hanno prodotto ciofeche di proporzioni immani, ma non vorrei essere frainteso, non sono uno di quelli che fanno discorsi di “svendita”, “sputtanamento”, “ammorbidimento”, anche perchè non si può dire che un disco come St.Hanger non sia duro! Il problema è che dal Black Album in poi i Metallica sembravano aver messo da parte le loro abilità tecniche, e non parlo di velocità di esecuzione, ma proprio di abilità compositiva, di quel quid che in alcune occasioni li avvicinava addirittura al prog.
“SignoretipregofaichesiaunbeltiscotipregotipregotipregofaicheChifabbiaragionetipregotipregotippprrrreeeggggooooo…”
ecco più o meno le stesse parole che frullano nel cervello mentre la mano fa entrare il dischetto nel lettore CD. Ma mentre lo faccio, e mentre trastullo la custodia tra le mie mani, i miei occhi cadono sul produttore: Rick Rubin… un enorme sorriso si stampa sulla mia faccia.
Solo due parole su Rubin: ha prodotto di tutto, Slayer, Red Hot Chili Peppers, Run DMC, Johnny Cash, Audioslave, Neil Diamond, sempre lasciando la sua firma, il suo suono, ma mai snaturando lo stile e le inclinazioni dei suoi artisti. Una garanzia.
E questo disco mi stupisce! Il disco è la vendetta di Hammet! La sua chitarra era stata sacrificata nei disci precedenti, ed aveva spinto di più sulla sua personalità Hendrixiana che su quella più classicamente metal. E’ la vendetta dei tempi dispari sui piatti 4/4, la vendetta delle poliritmie, la vendetta di un pugno di quarant’enni (ed oltre…) che si impone non come cover/band/di/loro/stessi, ma come realtà un po’ retrò forse (ma forse…), ma concreta ed orgogliosa.
Ed i brani in questo album sono ben composti, e si sviluppano ben oltre la solita/solida struttura strofa ritornello! Inutile citare titoli, il disco va affrontato nel suo complesso ed ascoltato tutto d’un fiato, (anche se magari ci si può prendere una pausa per un caffè in occasione di The Unforgiven III o The Day that Never Comes…) Non siamo certo alle soluzioni avanguardistiche (per l’epoca ma non solo) di Master of Puppets, non certo al nichilismo lirico/sonoro di …And Justice for All, ma le ritmiche sono serrate se pur articolate, le armonie complesse, e l’adrenalina cresce! Ed Hammet sbatte diritto sul nostro naso il fatto che è ancora lì a fare scuola. FARE SCUOLA, ovvero insegnare come si suona la chitarra, come lo stile valga più di milioni di note in un secondo, e come, se vuole, quelle note sulle sue dita le ha anche lui.
Menzione va fatta per il suono: bello, pieno, live, chitarre in faccia e batteria secca, il rullante di matrice quasi funky, in alcune situazioni, il basso (come su ogni disco dei ‘talica in cui non vi fosse il compianto Cliff Burton), in secondo piano, a reggere la scena senza mai strafare. Ed è un peccato. E’ un peccato perchè il gigantesco Trujillo meritava più spazio, bassista dal glorioso passato, che ha letteralmente inventato, assieme a Flea, Bill Gould, Les Claypol e pochi altri, il funky metal, ed ha portato alla ribalta anche nel metal, uno strumento, sino ad allora, posto in secondo piano. E’ un peccato, perchè in questa prima uscita discografica da studio con la band, non si intuisce minimamente la sua presenza.
Da fare due cose, continuare ad ascoltare questo disco, che ancora non mi stanca, e scrivere una email a Chif per ringraziarlo.
Più o meno queste erano le parole/sensazioni che mi invasero i neuroni il giorno che appresi dell’uscita del nuovo disco dei Metallica. Insomma, si consideri la situazione del sottoscritto, che nel 1988 scoprì attraverso il loro disco meno accessibile (…And Justice For All) quattro musicisti tra i più influenti della storia del rock duro. Scusate l’imperdonabile semplificazione, ma se è vero che tutto il rock deriva dai Rolling Stones (come il pop dai Beatles), allora è vero che tutta la musica estrema, ma tutta tutta, dal black, al grindcore, al death, al nu-metal, ma anche il prog di matrice pesante, fino ad arrivare (Dio mi perdoni) alla sua parodia in Linkin Park, Tokyo Hotel, e boybands-coi-distorsori varie… dicevo tutta questa musica deve più di un grazie alla band Californiana. In termini non solo stilistici, ma anche di riconoscenza per la strada aperta. Insomma se anche Ramazzotti ha messo delle chitarre distorte nei suoi dischi, lo si deve anche ai Metallica.
Detto questo, fatte le dovute genuflessioni di fronte all’altare dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, si deve ammettere che dopo il Black Album hanno prodotto delle ciofeche…
Ma andiamo per ordine… tre settimane fa becco in chat Chif, fraterno amico Transilvano (magari vi interessa saperne di più…)
chifanb: minchia
puppet: minchia!!!
chifanb: >:P
chifanb: B-)
puppet: are you learning italian?
chifanb: no
chifanb: do u have the last metallica?
puppet: not yet, and you?
chifanb: it’s fantastic
chifanb: it’s like the old ones
chifanb: it’s the second youth :))
chifanb: like in a mans’ life, of course we don’t know how it’s like :))
chifanb: yet
puppet: really?
puppet: good! I was a very big fan of metallica! I still consider Master of Puppets and Justice two of the best rock records ever!!!
chifanb: i like ride the lightning
chifanb: of course they are master pieces
chifanb: you’ll see that THIS album is close to those
chifanb: listen it no more than 5 times
chifanb: and you’ll realize
Vabbè, provar non nuoce. Mi procuro il disco.
Dicevo che dopo il Black Album i Metallica hanno prodotto ciofeche di proporzioni immani, ma non vorrei essere frainteso, non sono uno di quelli che fanno discorsi di “svendita”, “sputtanamento”, “ammorbidimento”, anche perchè non si può dire che un disco come St.Hanger non sia duro! Il problema è che dal Black Album in poi i Metallica sembravano aver messo da parte le loro abilità tecniche, e non parlo di velocità di esecuzione, ma proprio di abilità compositiva, di quel quid che in alcune occasioni li avvicinava addirittura al prog.
“SignoretipregofaichesiaunbeltiscotipregotipregotipregofaicheChifabbiaragionetipregotipregotippprrrreeeggggooooo…”
ecco più o meno le stesse parole che frullano nel cervello mentre la mano fa entrare il dischetto nel lettore CD. Ma mentre lo faccio, e mentre trastullo la custodia tra le mie mani, i miei occhi cadono sul produttore: Rick Rubin… un enorme sorriso si stampa sulla mia faccia.
Solo due parole su Rubin: ha prodotto di tutto, Slayer, Red Hot Chili Peppers, Run DMC, Johnny Cash, Audioslave, Neil Diamond, sempre lasciando la sua firma, il suo suono, ma mai snaturando lo stile e le inclinazioni dei suoi artisti. Una garanzia.
E questo disco mi stupisce! Il disco è la vendetta di Hammet! La sua chitarra era stata sacrificata nei disci precedenti, ed aveva spinto di più sulla sua personalità Hendrixiana che su quella più classicamente metal. E’ la vendetta dei tempi dispari sui piatti 4/4, la vendetta delle poliritmie, la vendetta di un pugno di quarant’enni (ed oltre…) che si impone non come cover/band/di/loro/stessi, ma come realtà un po’ retrò forse (ma forse…), ma concreta ed orgogliosa.
Ed i brani in questo album sono ben composti, e si sviluppano ben oltre la solita/solida struttura strofa ritornello! Inutile citare titoli, il disco va affrontato nel suo complesso ed ascoltato tutto d’un fiato, (anche se magari ci si può prendere una pausa per un caffè in occasione di The Unforgiven III o The Day that Never Comes…) Non siamo certo alle soluzioni avanguardistiche (per l’epoca ma non solo) di Master of Puppets, non certo al nichilismo lirico/sonoro di …And Justice for All, ma le ritmiche sono serrate se pur articolate, le armonie complesse, e l’adrenalina cresce! Ed Hammet sbatte diritto sul nostro naso il fatto che è ancora lì a fare scuola. FARE SCUOLA, ovvero insegnare come si suona la chitarra, come lo stile valga più di milioni di note in un secondo, e come, se vuole, quelle note sulle sue dita le ha anche lui.
Menzione va fatta per il suono: bello, pieno, live, chitarre in faccia e batteria secca, il rullante di matrice quasi funky, in alcune situazioni, il basso (come su ogni disco dei ‘talica in cui non vi fosse il compianto Cliff Burton), in secondo piano, a reggere la scena senza mai strafare. Ed è un peccato. E’ un peccato perchè il gigantesco Trujillo meritava più spazio, bassista dal glorioso passato, che ha letteralmente inventato, assieme a Flea, Bill Gould, Les Claypol e pochi altri, il funky metal, ed ha portato alla ribalta anche nel metal, uno strumento, sino ad allora, posto in secondo piano. E’ un peccato, perchè in questa prima uscita discografica da studio con la band, non si intuisce minimamente la sua presenza.
Da fare due cose, continuare ad ascoltare questo disco, che ancora non mi stanca, e scrivere una email a Chif per ringraziarlo.