Field Songs, Mark Lanegan
Sentendo l’ultimo disco di Lanegan non riesco non pensare a quanto il suo stile, quando lavora da solista, sia diverso e allo stesso tempo simile a quello degli Screaming Trees di cui era (purtroppo si sono sciolti) il cantante.
Diverso il ritmo e l’incedere delle canzoni, con i Trees saldamente al volante di una veloce macchina di rock sanguigno, colorata con vistose tinte psichedeliche, mentre il Lanegan solista predilige nella sua musica la sosta nei fumosi bar lungo l’ autostrada, davanti a bicchieri di whiskey e evanescenti immagini di losers a fianco.
Simile invece lo spirito che guida le canzoni, con quei giri di accordi “rurali” ad accompagnarle e quelle melodie quasi prevedibili, radicate come sono nella tradizione della musica americana, eppure cosi’ meravigliosamente affascinanti.
Sara’ pure che a me la voce di Lanegan fa venire la pelle d’oca (il mio regno per il suo timbro di voce, grazie) ma non vedevo l’ora che uscisse il suo nuovo lavoro.
Dopo un disco di cover, il mai troppo lodato I’ll take care of you, arriva cosi’ questo Field songs che come al solito presenta il fido Matt Johnson nella maggioranza delle parti di chitarra e Ben Sheperd al basso (ex Soundgarden).
Field Songs si apre con One Way Street ed e’ subito un colpo al cuore, perche’ l’ingresso della voce di Lanegan mette in chiaro subito quale sara’ il binario sul quale correra’ il disco. Grande Mark, il degno compagno di strada di gente come Tom Waits, con la bottiglia vuota in mano, una sigaretta e un fiume di malinconia in cui affogare dolcemente.
Cosi’ per altre perle come Pill Hill Serenade oppure Resurrection Song con pennellate di chitarre acustiche e lenti riff di elettriche calde e sudate, appena colorate da tremoli e reverberi
C’e’ spazio per richiami quasi morriconiani come in No Easy Action (c’e quel gorgheggio di voci femminili sotto che ricorda moltissimo gli spaghetti western) e per tuffi in stagni inondati di psichedelia.
Ma come si fa a non non citare un gioiello come Kimiko’s Dream House dove la sua voce accarezza tonalita’ inusualmente alte? (A proposito, quest’ultima e’ firmata Lanegan/Jeffrey Lee Pierce).
Mark Lanegan fa centro un’altra volta e mostra, se ce ne fosse ancora il bisogno, come il talento e la coerenza non si possano comprare e costruire a tavolino: sfido chiunque a trovare un brutto disco nella sua discografia, che incomincia ad essere abbastanza nutrita.
E come normalmente succede in casi come questo mi pongo la stessa banale domanda: non e’ quasi delittuoso il fatto che si sia cosi’ in pochi a conoscerlo?