Cynic – Focus
Tra il 1993 ed il 1994 uscirono una manciata di album che segnarono l’apice assoluto della parabola creativa e compositiva dell’heavy metal più estremo. Atheist, Death, Pestilence, Carcass, Napalm Death… chi apprezza e conosce questi gruppi, trova in questo biennio pane per i suoi denti. Finalmente, dopo anni di suoni gracchianti e chitarre impastate, si avevano ottime produzioni, i testi si staccavano dalle tematiche tipicamente death e splatter degli esordi, ed i musicisti sapevano suonare.
Quest’ultima affermazione potrà anche infastidire gli aficionados della prima ora, ma è innegabile che, pur nella loro spinta innovativa e rivoluzionaria, dischi come Scream Bloody Gore dei Death o Reek of Putrefaction dei Carcass denotassero un deficit tecnico e compositivo palese. Come diceva John Zorn, il primo grindcore denunciava la stessa urgenza compositiva ed espressiva del free jazz, ma sicuramente quei musicisti non avevano nulla a che vedere con Ornette Coleman o John Coltrane.
Eppure anche quei ragazzini che a sedici anni presero in mano una chitarra sapendo a malapena come accordarla, crebbero in perizia e tecnica, in capacità compositiva ed originalità, andarono a scuola (il Musician Institute of Technology in particolare) ma non smisero di esprimere la loro rabbia e brutalità, la poesia ed il cinismo. Si arrivò in quegli anni al punto che i migliori musicisti nella musica “non colta” (escludiamo jazz e musica classica) militavano proprio nelle frange più oltranziste del metal. L’aumento delle vendite (non scordiamoci degli incassi ottenuti da …And Justice for All e dal Black Album dei Metallica) e la lungimiranza di case discografiche come la Earache e la Roadrunner, portarono da un lato più risorse a questi musicisti e dall’altro alla specializzazione dei tecnici del suono. Il risultato fu che anche la musica dura cominciava a suonare molto bene, i dischi che uscivano non sembravano più semplici demo, mettevano finalmente in risalto le qualità tecniche dei singoli musicisti e davano spazio alle dinamiche delle composizioni.
La band che, a mio parere, meglio rappresenta questo momento storico, riuscì a pubblicare un solo album. I Cynic, nel 1993 diedero alle stampe Focus, capolavoro assoluto del genere, contemporaneamente vagito neonatale e canto del cigno. Sì, perchè i Cynic pubblicarono un unico album, pure se i singoli componenti suonarono in altre bands (Masvidal e Reinert suonarono rispettivamente la chitarra e la batteria nei Death), ed in questo riuscirono a concentrare superlativa capacità compositiva, testi poetici e filosofici, perizia tecnica e pure un’eccellente produzione.
L’ascolto di questo disco, specialmente nell’edizione del 2004, con diverse bonus tracks, è davvero spiazzante. Di cosa diavolo stiamo parlando? Grindcore? Pop? Jazz? Prog? I Cynic riescono a riunire stilemi e sonorità diverse in un unico disco, riescono a far convivere assieme il tipico cantato growl a vocalizzi puliti, maschili e femminili, più tipicamente pop, compongono brani in cui si alternano violente schitarrate “in you face” ad atmosfere dilatate e sognanti, che poggiano su tappeti di tastiere, archi e chitarre pulite. Composizioni complessissime, modulazioni (cambi di tonalità) e poliritmie, la batteria di Reinert precisissima, che gioca molto sui piatti e, grazie a Dio, con un missaggio che la valorizza moltissimo, spostandola verso sonorità più jazzy, le chitarre che giocano nei puliti come Fripp aveva insegnato in Discipline, gli assoli che si stendono su modulazioni che farebbero paura anche ad un consumato jazzista, tastiere mai invadenti, il basso si sente, e non è più relegato a piccola frazione del settore ritmico, e soprattutto un suono preciso, ottima definizione degli strumenti, un sincronismo svizzero tra i musicisti.
L’album si apre con Veil of Maya, che mette subito in evidenza tutte queste caratteristiche che ci accompagneranno per tutto l’ascolto del disco. Celestial Voyage, The Eagle Nature, Sentiment, sono un viaggio, letteralmente un viaggio musicale, armonie belle, ampie, punte di cattiveria che non arrivano mai a saturare il suono, controtempi, stop precisissimi, chitarre sempre in evidenza ma mai invadenti. I’m but a Wave to… potrebbe far innamorare i fan dei Dream Theatre, se questi non fossero spaventati dal cantato growl, Textures ha degli spunti musicali di una dolcezza unica, in alcuni passaggi mi ha ricordato i Clannad, eccellente gruppo irlandese degli anni ’80, ma le chitarre sono assolutamente frippiane.
L’album si chiude con la meravigliosa How Could I, come dire?… un riassunto delle puntate precedenti, così come l’apertura di Veil of Maya era una preview.
Ecco, se la fusion (intesa come il miscuglio del jazz con …qualcos’altro…) ha avuto un’evoluzione dagli anni ’80 fino ai ’90 e giorni nostri, se ha lasciato le lande desolate del puro (e noiossissimo…) tecnicismo, se qualche suo frammento si è reincarnato in altri generi (Aphex Twin, Squarepusher), allora lo dobbiamo a gruppi come i Cynic.
Tassativamente da avere nell’edizione Expanded Edition del 2004, in cui, oltre ai remix di I’m but a Wave to…, Veil of Maya e How Could I, sono presenti i pezzi che componevano il demo (ottimamente registrato) dei Portal, prima incarnazione dei Cynic, in cui sono molto più valorizzate le atmosfere sognanti ed i tempi dilatati.
Comperatelo, ascoltatelo, vivetelo e speditemi una email per ringraziarmi.