Marilyn Manson – “Eat me, Drink me”.
Una lugubre ed inquieta musica, apre un spiraglio sulla baritonale voce del reverendo Manson, che dopo 2 pessimi full lenght (“The golden age of grottesque” e “Holywood”), torna agli antichi fasti di “Antichrist Superstar”, dismettendo però i panni di nemico pubblico. Tanto è vero che, di quel disapprovato personaggio, cosi tanto negativizzato dalla stampa, poco è rimasto. I benpensanti di una decina di anni addietro, hanno ormai abbassato il tiro e Brian Warner è stato riscoperto come uomo e non più come mostro. Interviste più pacate rispetto alla precedente voglia di tramortire, non lo hanno di certo fatto uscire dall’inferno, ma senza dubbio oggi il front-man fa molta meno paura all’ignoranza perbenista, che dovrà pertanto trasferirsi altrove per trovare i propri fantasmi.
“Eat me, Drink me” non è un disco d’amore, come qualcuno ha voluto scrivere, ma è piuttosto un lavoro che tratta di sentimenti in maniera comunque cupa e dolorosa, attraverso sonorità che rispetto ai precedenti dischi risultano più orientate al funeral dark e al gothic.
La rabbia che si sprigiona dalle 13 tracks, sembra come chiusa in una gabbia, le urla sono più silenti e le chitarre meno distorte. Se da un lato le venature nu-metal non si palesano più su di un piano preferenziale, e basta ascoltare “Putting holes in happiness” per rendersene conto, è anche vero che Manson non riesce a fare a meno dell’industrial, che ha sempre costituito il forte scheletro musicale della sua arte. Il suono meccanico infatti emerge con buoni risultati in liriche come “The red carpet grave”, semplice rock intarsiato di psichedelici richiami industrial space, che si alternano a accidiosi solo e riff ridondanti.
Nonostante l’album abbia poco a che fare con il depressive black metal e con il funeral doom, è innegabile un sottile alone di malessere si riscontri nelle canzoni del disco, come emerge in “They said that hell’s not hot”, in cui l’arpeggio trasmette una crudele accettazione del dolore e della consapevolezza di quanto brucia l’inferno. Dall’altra parte, se “Heart-shaped Glasses (When the Heart Guides the Hand)” e “Just a car crash away “non possono essere di certo annoverate tra I masterpieces dell’autore, più convincente appare la bella “Evidence”, con il suo sound affilato ed antico, che con la sua inquietante armonia si mescola alla perfezione al suono ammaliante delle percussioni.
Insomma chi mai avrebbe pensato, ascoltando nel 1994 “Portrait of an american family”, che Marylin Manson avrebbe potuto dar alla luce un album così anomalo, riuscendo a svecchiare una pelle cadente, che stava ormai per condannarlo alla semplice e terribile celebrazione di se stesso.
Tracklist :
01. If I Was Your Vampire
02. Putting Holes In Happiness
03. The Red Carpet Grave
04. They Said That Hell’s Not Hot
05. Just a Car Crash Away
06. Heart-Shaped Glasses (When the Heart Guides the Hand)
07. Evidence
08. Are You the Rabbit ?
09. Mutilation is the Most Sincere Form of Flattery
10. You and Me and the Devil Makes 3
11. Eat Me, Drink Me