Latitante Tour

il_latitante.jpg

Ho sempre pensato che Daniele Silvestri fosse uno dei pochi musicisti italiani ad aver compreso la necessità di cambiamento e di evoluzione, che spesso la musica mainstream italiana tende a lasciar cadere nell’oblio. Mi sono spesso ritrovato a domandarmi perché gente come Ligabue, Nek, Laura Pausini e (come diceva mio nonno) compagnia bella, sforna dischi musicalmente sempre cloni del precedente, senza quasi mai osare. Ho cercato di capire le motivazioni, e nelle mie elucubrazioni mi sono reso conto che “squadra che vince non si cambia”. Troppo pericoloso battere altre strade, quando si hanno le chiappe posate sugli allori. Gli estremi di questa roulette russa possono essere da un lato i Metallica, che con il loro scellerato Load hanno perso per strada credibilità, afficionados e molti soldi, dall’altro lato Beck, musicista losangelino che riesce in ogni suo disco a sorprendere e mutare pelle come un serpente.

Silvestri in questi anni è riuscito a rinnovarsi sempre, soprattutto dal punto di vista musicale offrendo al proprio pubblico una miriadi di sfaccettature musicali, che dal semplice pop arrivano al punk senza soluzione di continuità…e così è stato anche per la tappa genovese del “Latitante tour 2007”.

Il concerto, organizzato come di consueto dalla www.grandieventi.it di Vincenzo Spera, ha inizio attorno alle 21.50 quando si spengono le illuminazioni davanti agli spettatori. Una fioca luce rosa rischiara la scenografia furure-kitsch, mentre un overture rumoristica apre le danze. Il battesimo è dato dal magnifico racconto bradburyano di “Marzo 3039”, seguito a ruota da “Il mio nemico”, che porta con se ancora gli strascichi del G8. Senza cadere in politicante retorica, considerò però ormai ingombrante e ridondante ricordare gli eventi di quel triste luglio…insomma, pur pensandola come l’autore romano, sarebbe il caso di finirla di riaprire la ferita e in questo caso il “bisogna ricordare” poco centra. Al di là di tutto, comunque “Il mio nemico” appare in una veste nuova, con un arrangiamento poco riuscito, che svilisce la verve della studio-version.

Il ritmo cresce con il ritmo carioca di “Kunta Kinte” il cui testo, co-firmato assieme a Frankie HI-NRG, viene accompagnato dal longe sound della tastiera, che evidenzia le enclave discorsive della voce di Silvestri. Il pubblico sembra apprezzare composto, ad esclusione di qualche innervosente cafone, che altro non ha fatto che ridere sguaiatamente e urlare sine sensus per tutta la serata.

Il concerto prosegue con il rap senza fiato su base chill out di “ Sogno-b”, seguita dal piacevole e grezzo rock di “Io fortunatamente” e dalla punkeggiante rivisitazione di “ Frasi da dimenticare”, che convince appieno. L’ironia sapiente di “Datemi un benzinaio” fa decollare finalmente un live che fino a questo punto è stato assolutamente sotto tono; si alzano le prime braccia dondolanti, qualcuno inizia un pogo leggero, totalmente fuori luogo, ma fortunatamente nessuno si esibisce in body surf! Nel meltin pot sonico arriva il blues nella sua forma pura di “Lasciami andare” e il jazz contaminato dal ritmo in levare della coinvolgente “Banalità”. Qualcuno urla “Occhi da orientale!!” qualcun altro “Hold me!!”, ma non saranno accontentati, perchè i sentimenti lasciano il posto al sarcasmo pungente della geniale “Domani mi sposo” e all’analisi sociologica sul “Flamenco della doccia”.

Dopo due ore di concerto il pre-finale canonico è strutturato attorno all’inno estivo della “Paranza” e dall’innaspettata “Testardo”, una canzone da romanaccio che nella sua versione originale vedeva al basso l’amico Max Gazzè. L’attesa per il classico bis è allietata da un’improvvisata acid dj session, che introduce “Gino e l’alfetta” adottato come inno ufficiale per il Roma Gay Pride 2007. I musicisti, tra cui il fedelissimo e sempre impeccabile Maurizio Filardo, appaiono sul palco vestiti di camicia bianca e cravatta stilettata per le ultime cartucce: “Salirò”, dall’azzardato arrangiamento e la sempreverde “Cohiba” che con il suo viaggio porta alla conclusione un live che non delude, ma neppure convince appieno.