Sting – Sogns from the labyrinth.
Ma, per la miseria! Questa non me la potevo perdere! Uno dei più grandi cantanti moderni che affronta un musicista del Seicento!
Sting, con la collaborazione del liutista Edin Karamazov, propone per la DG una collezione di musiche di John Dowland che ora passerà, non è difficile prevederlo, dal Limbo dei musicisti del tempo che fu, alla gloria dell’I-pod.
Dell’ex leader dei Police non c’è nemmeno bisogno di parlare; quanto a Dowland, questi nel Seicento era conosciuto in tutta Europa come “l’Orfeo inglese”, nato a Dublino nel 1562, egli fu indubbiamente un musicista colto ed operoso, ed ebbe una vita piuttosto intensa: baccellierato di musica ad Oxford e Cambridge, viaggi in Francia, Germania e Italia; infine liutista di corte in Danimarca, prima di un ritorno a Londra dove morì nel 1626.
I “songs” che Dowland ha lasciato sono spesso velati d’una malinconia struggente, e cantano l’amore nei suoi molteplici aspetti con una netta predilezione per gli addii, gli abbandoni e le ritrosie: il motto Dowland sempre Dolens la dice lunga e non necessita di dotti commenti. Alcuni dei suoi songs divennero famosi ed ebbero innumerevoli ristampe, spicca fra tutti il famoso “Flow my tears”, contenuto anche in questo cd, che fu una delle canzoni più popolari della sua epoca.
Negli anni settanta del Novecento Dowland fu oggetto di una riscoperta quando la Oiseau Lyre iniziò a stampare le registrazioni del Consort of Musicke guidato da Antony Rooley e di cui facevano parte cantanti che hanno partecipato validamente alla diffusione della musica antica, come la soprano Emma Kirkby, il tenore Martin Hill, il basso David Thomas. Quella del Consort of Musicke fu un’interpretazione basata su di un’accurata ricostruzione delle modalità esecutive dell’epoca del compositore. Un lavoro importante che ancora oggi è disponibile in un cofanetto di 12 cd.
La proposta di Sting è evidentemente basata su presupposti diversi da quelli che animavano il Consort of Musicke: è l’omaggio di un cantante moderno ad un illustre antenato, quasi un tentativo di dimostrare che, al di là del tempo, la musica rappresenta una sola realtà, basta sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda giusta.
Di fronte alle musiche di Dowland, Sting è molto abile a fondere l’antico, con la sua esperienza di cantante moderno con la sua voce suadente e impaticamente “graffiante”. Tutto rivela un grande rispetto per l’antenato musicista facendoci intuire, forse, la dimensione in cui questi brevi componimenti erano spesso eseguiti: piccole sale dove, con l’accompagnamento d’un liuto, tremule voci tentavano le note in presenza d’un uditorio familiare.
Intendiamoci, a mio avviso non accade il miracolo. Non è la Grande Rivelazione, non c’è un’interpretazione senza macchia, ma il lavoro compiuto potrà indubbiamente avvicinare un’amplissima platea di ascoltatori ad un genere musicale, come la musica antica, sinora ritenuto “di nicchia” e destinato a pochi appassionati. In questo le letture effettuate da Sting fra un brano e l’altro, ove aleggia un che di new-age, contribuiscono a creare un’atmosfera accattivante che non potrà mancare di piacere alla maggior parte del pubblico che acquisterà questo disco. Con buona pace di chi ama ascoltare o eseguire il Dowland duro e puro.
Maurizio Germani