I Luf “Delalter. Verso un altro altrove”, recensione
15,5 cm x 14 cm.
Inusuale formato al servizio di un racconto lungo una vita, attuale e coraggiosa, priva di confini e barriere.
Ecco a voi Verso un altro altrove opera “neorealista” de I Luf, pronti a raccontarci con arte e ardimento storie reali. Storie di viaggio, ostacoli ed emigrazione, attraverso il sapore familiare del folk, qui piacevolmente coerente con strutture emozionali e tematiche, ricamate sulla nostra realtà.
Una quotidianità posta in parallelo con la società che non si riconosce più a causa di paura e diffidenza.
Proprio da qui parte l’ensemble, pronto a raccontare (con un doppio disco) una diretta piacevolezza, in cui l’accorta narrazione è misurata da un songwriting immortalato non solo da un booklet-poster di grandi dimensioni, ma anche mediante una vera e propria graphic novel, disegnata dallo stile Bonnelliano di Daniele Elli e Moreno Pirovano.
Osservando il perfetto digipack si inizia a danzare tra le profonde linee delle 4 corde, attraverso la versione folk della titletrack, ideale anthem in cui l’ingannevole up-tempo ci spinge sul banjo, mentre il dialetto bresciano appare pronto a seguire il sentiero disegnato da Davide Van des Sfroos.
La band diverte con armonie accoglienti e ritmi danzanti, mostrando il proprio gioioso lato narrativo ricco di contrasti dolci-amari, in cui storie e alternanze si incontrano scontrandosi con “una musica che uccide e poi consola”.
L’album, uscito in occasione della Giornata del rifugiato, appare incorniciato da verve festanti ( Signora dai lunghi pensieri ) e sguardi osservativi (La luna le na randa mata), riuscendo ad alternare movimenti emozionali, in cui le strutture sonore giocano argomenti delicati e spesso scomodi, talvolta urlati in maniera allegra e divertente, altre volte sussurrati in maniera melanconica ed emotiva. Un sentiero lungo e avvolgente che si ritrova poi in un ossimoro ben definito; infatti proprio il disco 2 è dato a battesimo da un’impronta “alpina”, che si fonde e confonde con le onde di O pescator che peschi, pronta a portarci verso un velato combat folk che completa l’incipit iniziale del doppio disco, giungendo a citare le emozioni narrate spesso da Cisco Bellotti, qui spinto da sentori Nomadiani e venature Manà. Un incrocio riuscito, in cui ritroviamo persino inattese citazioni Yann Tiersen.
I venti del nord ci trainano poi tra deserti e scogliere (Lampecrucis) per rimirar meraviglioseStelle, e poco importa se clandestine o splendenti, perché le emozioni acustiche continuano a vivere tra le malinconie di Questa macchina , ballata morbida e avvolgente, che entra a far parte di una “grande famiglia”, in cui il tempo i luoghi non hanno e non vogliono avere punti di riferimento.
A chiudere il viaggio ci pensa infine la gucciniana Camminando e cantando e il saporeDay Sleeper di Bare a vela, in cui urla amare pongono termine ultimo ad un concept raccontato da banjo, dobro, fisarmonica e cornamusa, riuscendo ad illuminare oscure notti di realtà.