Bioscrape “exp zeroone”, recensione

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Siete pronti ad un furioso headbanging? Siete in grado di farvi trasportare dal più genuino istinto guitar air? Beh… allora non abbiate timore nell’entrare all’interno del mondo dei Bioscrape, nuova creature del dittico Overdub Recordings-Worm Hole Death.

La band, nata nel 2006, arriva ai nostri padiglioni auricolari attraverso una fortissima componente nu-metal di prima generazione. Una struttura diretta e violenta quanto un pugno in viso, accostabile alla genuinità intuitiva mostrata nel selftitled dei 9 dell’Iowa. Infatti, a mio parere, appaiono pochi i dubbi… ascoltando questo Exp.Zaro one si arriva in maniera naturale a considerare l’operato del quartetto come un figlio bastardo di Slipknot, ma attenzione (!)… non crediate, né tanto meno speriate, di ritrovare in questo platter un semplice e ridondante clone del recente passato.

Le potentissime note avranno il potere di (ri)portare alla mente i primissimi Korn, similmente a sentori Coal Chamber ed estremizzazioni panteriane ben amalgamate a intenzionalità alternative hc. Queste poche premesse basterebbero a decretare la felicità e l’interesse spasmodico degli HMK. Infatti il progetto curato da strutture sonore avvolgenti e trainanti si offrono all’ascolto attraverso un imprinting ricco di sfaccettature istintive ed energiche.

L’album, prodotto da Corvi Wahoomi, ha il merito di indurre l’incauto ascoltatore ad un selvaggio headbanging travolgente e continuativo, arrivando a schiudere la mente dei metalhead più attenti, giungendo ad offrire sensazioni sonore che non risparmiano né citazioni Soad (Mist Eeenerny) né sviluppi tecnocratici (Chemical Heresy), spesso intercalati da una bassline perfetta e da una violenza espositiva che guarda senza pudore al recente passato (Ages of Leeches), riuscendo ad appoggiarsi ad un deja ecù gradevole, per poi osare verso straordinari punti di non ritorno ( Filth Blood).

Un disco da ascoltare con l’attenzione che un opera di tal genere godeva negli anni d’oro del pre-mp3, cercando di ritrovare gli ideali narrativi attraverso i meandri strutturali di un full lenght che porta con sé un unico neo, quello di una cover art poco accattivante ed un booklet i cui testi avrebbero meritato ben altro risalto.