L’aldiqua
Ennesima prova di crescita artistica per Samuele Bersani, che a parer mio sforna ogni volta il suo disco migliore. Questo è il secondo lavoro a sfondo “chitarristico”, con la produzione di Roberto Guarino che ha sostituito l’approccio “piano-oriented” di Beppe D’Onghia, precedente produttore di Bersani (e a mio avviso principale artefice del successo di molti tra gli ultimi dischi di Lucio Dalla, che altrimenti risulterebbero piuttosto poveri di contenuti). L’ascolto dei brani uno dietro l’altro riserva continue sorprese e stupori in sequenza, nei testi, nelle musiche, negli arrangiamenti e nel modo in cui ogni cosa si armonizza col resto.
Mi spiego, altrimenti sembro il fratello adorante di Samuele.
Partiamo dai testi.
Ogni disco di Bersani ha generalmente un certo equilibrio nei testi tra il personale e il sociale, benché quest’ultimo contesto sia comunque proposto attraverso un’ottica decisamente particolare e, in un certo senso, intima. Anche in questo caso si ascoltano gioielli dedicati ad entrambi i contesti ed alle loro commistioni: i dubbi e gli slanci delle storie d’amore come quelli in come due somari, autentica perla impreziosita ulteriormente dall’autore della musica, il chitarrista Armando Corsi, che con due chitarre rende il brano eccezionale; le riflessioni di lascia stare, i ritorni di fiamma di una delirante poesia; il “privato”, come si dice in questi casi, dall’amore si sposta verso il “pubblico” con gioiellini sociologici del calibro di Maciste (opera di Pacifico, con cui Bersani ha già collaborato), il maratoneta, ennesimo rompicapo per chi voglia scovare le linee melodiche dei cori nei ritornelli del cantautore romagnolo, e Sicuro precariato, uno degli esempi più luminosi del disco di come l’atmosfera delle parole sappia star bene assieme alla sua musica. La corda sociologica di Samuele, che in molte occasioni vibra attraverso l’ironia, risuona anche in questo lavoro con La soggettiva del pollo arrosto, paesaggio urbano che sarebbe sconfortante se non facesse sorridere, e Lo scrutatore non votante, in cui probabilmente riconoscerete qualche collega di ufficio o qualche conoscente, per la precisione con cui viene reso il profilo degli appartenenti a certo qualunquismo.
La musica attraversa il pop con leggerezza ma senza nemmeno una punta di banalità: arrangiamenti, temi e armonie vanno se possibile in direzioni meno convenzionali rispetto forma canzone classica, con aperture che non sono quasi mai le più facilmente prevedibili e che anzi spesso stupiscono. Anche i pochi interventi elettronici (Maciste, o anche il vintage nella parte strumentale di sicuro precariato) sono misurati e “caldi” quanto basta da non far pesare la loro presenza. Guarino ha dato un acarica vitale in più all’arte di Bersani; non che D’Onghia fosse l’ultimo arrivato, anzi con Bersani ha fatto cose bellissime (e come già detto in queste pagine ha innalzato a canzoni degne alcuni momenti non proprio felici dal punto di vista creativo per Lucio Dalla), ma l’impronta chitarristica degli ultimi due lavori di Samuele ha un bel piglio e una spinta che si lascia ricordare.
Insomma… non credo vi servano le conclusioni: L’aldiqua è a mio avviso, per quel che ho potuto ascoltare, il miglior disco di musica “leggera” italiana di quest’anno. Non serve fare chissà quale strillata dichiarazione; una classifica personale ognuno la fa spesso, e la mia dice questo. Bersani è un artista matuo, solido e dalla personalità nitida. A voi decidere se poi quel che fa vi sia gradito o meno!